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Accogliere, promuovere e mediare: il “Progetto Homeless” a Pisa

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di Alessandro Carta *

 

Quando una comunità locale si confronta in modo diretto con le problematiche legate all’accoglienza di chi vive in stato di grave marginalità, si registra spesso un incremento delle tensioni e il bisogno di riscrivere gli equilibri che determinano la qualità della vita. A partire dal caso del Progetto Homeless che, nella città di Pisa, mira all’inclusione delle persone senza dimora, è possibile chiarire come il ricorso a strumenti di cittadinanza attiva e ad un sistema di interventi di mediazione sociale contribuisca in modo positivo ad accrescere il senso di corresponsabilità.

Il Progetto Homeless nel suo complesso intende promuovere il diritto di cittadinanza delle persone senza dimora. Più precisamente, il progetto consiste nell’asilo notturno e nel centro diurno, che erogano servizi di “bassa soglia” per rispondere ai bisogni di prima necessità (area dell’accoglienza), e nello sportello d’ascolto e nell’unità di strada, che orientano le persone verso le risorse sociali presenti sul territorio e offrono gli strumenti di base per l’avvio di percorsi di accompagnamento e di inclusione (area del segretariato sociale). Nato nel 1996 su impulso della Caritas Diocesana di Pisa, il progetto ha fin dal principio visto il coinvolgimento di diversi soggetti istituzionali (Comune di Pisa, USL 5 di Pisa e Società della Salute della Zona Pisana) che ne hanno garantito, fino ad oggi, il finanziamento. L’attuazione dei diversi interventi è stata affidata a tre cooperative sociali del territorio: Il Simbolo, Il Cerchio e Il Melograno.

Mediazione territoriale in un contesto di marginalità urbana: un quadro teorico

Negli ultimi mesi del 2008, in vista del trasferimento del centro operativo del progetto nella nuova sede situata in un quartiere centrale della città, sono state ideate e realizzate una serie di iniziative con l’obiettivo di facilitare il dialogo e la comunicazione con i cittadini residenti che sarebbero stati coinvolti, a vario titolo, da tale evento. Tali iniziative rientrano a pieno titolo sotto la categoria teorica della mediazione territoriale, e sono state consapevolmente e programmaticamente connesse con le altre aree di intervento del progetto, rivolte innanzitutto all’accoglienza e alla promozione delle persone senza dimora.

Secondo una visione particolarmente lucida e suggestiva, le città del nostro tempo possono diventare un laboratorio di futuro: un “laboratorio di nuove relazioni sociali, di modi alternativi di vivere insieme, di nuove abilità sociali” (Bauman, 2004). Il tessuto sociale che caratterizza la città a livello locale, rappresenta lo scenario ideale nel quale costruire un patto di socialità condivisa grazie allo sviluppo di processi che favoriscano l’interazione umana. In effetti, “la città non è solo il luogo dove un gran numero di estranei vivono in stretta prossimità; più profondamente, è il luogo che può trasformare gli estranei in cittadini che appartengono alla società civile. Ed è questo che crea lo spirito di una città” (ibid.). Per queste ragioni è sensato affermare che nelle nostre città siamo “condannati a pensare in termini dialogici” e che “la pratica della convivenza urbana” – supportata da adeguati strumenti di intervento sociale – può abilitare ogni cittadino ad un dialogo comune (ibid.). Ecco perché crediamo che le attività di mediazione sociale, integrate nel complesso del lavoro da noi svolto, abbiano fino ad oggi garantito una maggiore efficacia dell’intero impianto progettuale e rappresentino una sorta di plusvalore che contraddistingue il progetto nel suo complesso.

L’inserimento in un quartiere residenziale della città di una struttura di accoglienza rivolta primariamente a persone che vivono in condizione di disagio comporta l’assunzione di una prospettiva di lavoro più ampia del consueto, che ha tra i suoi obiettivi generali la cura e il potenziamento delle reti sociali che legano i soggetti già presenti in quel determinato territorio. L’idea guida che ha condotto il nostro lavoro – ancor prima di ipotizzare un piano di interventi e di attività condivise – è stata quella di invitare i diversi interlocutori sociali a “stare dentro la relazione” in un gruppo di lavoro partecipato, e di avviare un processo in cui compiere costantemente i tre atti che caratterizzano il confronto tra chi parla linguaggi diversi: ascoltarsi, comprendersi, accordarsi (Glissant, 1998).

Ascolto come tappa propedeutica ad ogni altra possibile interazione. Comprensione che con-tiene l’altro e previene il ritiro dalla comunicazione di chi può percepire respinta la propria diversità (Baraldi, 2003). Accordo con chi si differenzia dai nostri paradigmi per stabilire e potenziare una lunghezza d’onda comune. All’interno di queste coordinate ci si è mossi promuovendo occasioni formali e informali di contatto e di scambio tra le “figure chiave” che svolgevano già un ruolo attivo e riconosciuto sul territorio, i residenti del quartiere, gli operatori sociali e alcune persone senza dimora destinatarie dei servizi offerti dal Progetto Homeless.

Mediazione territoriale in un contesto di marginalità urbana: esperienze precedenti

In passato, in un’altra area della città che aveva ospitato per diversi anni il centro servizi del progetto, erano state già attivate in forma sperimentale alcune specifiche azioni che, nel tempo, avevano consentito di maturare una significativa esperienza. Anche in quel caso è stata data molta attenzione agli abitanti del quartiere, realizzando una serie di azioni di regolazione delle relazioni sociali che si sono poi trasformate in veri e propri percorsi di mediazione sociale (Luison, 2000). Si trattava di azioni riconducibili all’ambito della “mediazione di conformazione”. Tali azioni hanno l’obiettivo di avviare percorsi di accettazione di norme sociali non negoziabili in cui chi compie la mediazione, in quanto parte dell’ordine sociale, non è comunque mai del tutto neutrale (de Briant, Palau, 1999).

In quel contesto, il contatto stabilito con il “Comitato di quartiere” che si era costituito all’indomani dell’esplosione di alcune situazioni conflittuali tra i residenti e gli ospiti del centro servizi, ha permesso di mettere in evidenza una serie di questioni latenti. Tra queste problematiche, quelle a cui si è deciso di prestare particolarmente attenzione per avviare occasioni di dialogo e di confronto con i residenti sono state: la percezione di un incremento dei fenomeni di microcriminalità e di un maggior degrado delle spazi di verde pubblico della zona; il crescente senso di insicurezza legato alla paura di non poter più usufruire delle aree gioco presenti nel quartiere senza esporsi a dei rischi; la preoccupazione per la eventuale perdita di valore degli appartamenti del quartiere e per la scomparsa di un luogo di socializzazione significativo per i residenti, costituito dalla struttura che ospitava il centro servizi.

Alla luce di questo quadro, erano stati decisi e avviati una serie di interventi di mediazione che potremmo definire di orientamento trasformativo del conflitto proprio perché, oltre a dare importanza alle singole situazioni oggetto di conflitto, avevano tentato di porre l’accento anche sul perché e sul come dell’interazione conflittuale (Consalves, Turner-Hudson, 2006). Già all’epoca si era registrato un bisogno che in seguito è emerso anche in altri ambiti territoriali: quello di avere a disposizione contesti propedeutici alla creazione di un setting specifico per la mediazione dei conflitti in cui, solitamente, si predispone l’intervento professionale di un mediatore con funzioni di “terzo neutrale”. Era invece più appropriato costruire una rete informale per far sì che quanti – residenti, gestori di esercizi pubblici, etc. – lamentavano l’insostenibilità del trasferimento del centro servizi, spesso influenzati da un pregiudizio nei confronti dei senza dimora, fossero condotti a passare da una posizione di osteggiamento ad un atteggiamento più aperto, in grado di individuare e affrontare i problemi fonte di disagio diffuso.

Mediazione territoriale in azione: preparare il quartiere al trasferimento del progetto

Alla luce di queste esperienze, si è inteso utilizzare il trasferimento di sede del Progetto Homeless come una opportunità per avviare interventi di mediazione sociale all’interno del nuovo quartiere, dal quale giungevano da tempo segnali di contrarietà e di apprensione. Quanto realizzato fino a quel momento ha fornito le linee guida per concepire un progetto più strutturato ed organico in cui hanno trovato adeguata collocazione una serie di attività di “accompagnamento nel conflitto” (Bertoluzzo, 2006).

Le iniziative messe in campo si proponevano di perseguire tre obiettivi generali: favorire il calo della tensione sociale nell’area di intervento e facilitare l’avvio di un sistema di risposte ai bisogni riguardanti la convivenza all’interno del quartiere; favorire l’inserimento della nuova struttura sul territorio di appartenenza in una logica di confronto e collaborazione con le varie realtà attive; favorire l’integrazione e l’inserimento delle persone senza dimora all’interno del tessuto sociale della città.

Per potenziare il livello di qualità del progetto nel suo insieme e, relativamente all’area della mediazione sociale, per garantire una maggiore efficacia delle azioni intraprese, abbiamo creduto utile ipotizzare il coinvolgimento di un interlocutore scientifico qualificato, chiamato a supportare la rielaborazione e lo studio permanente di quanto realizzato nei diversi settori di intervento per facilitare la restituzione, su base scientifica, dei dati derivanti dalle varie attività. Il partner ideale per questa serie di attività è stato individuato nel Centro Interdisciplinare di Scienze per la Pace dell’Università di Pisa che ha, tra le proprie finalità istituzionali, quella di dedicare particolare attenzione ai temi della mediazione sociale dei conflitti.

Si è, innanzitutto, voluto dedicare una specifica attenzione all’osservazione e all’analisi della realtà del quartiere. Pertanto è stata prodotta un’indagine statistico-sociale comprendente: la descrizione demografica della popolazione residente; i risultati di un’indagine condotta sull’opinione degli interlocutori privilegiati (figure rilevanti, istituzioni locali, associazioni, agenzie scolastiche, educative e ricreative, servizi pubblici, parrocchie, ecc.); gli esiti dei questionari che a tutt’oggi vengono periodicamente somministrati ai cittadini. In una seconda fase, grazie all’insediamento di uno staff stabile di operatori della mediazione, ci si è dati l’obiettivo di facilitare la comunicazione tra gli attori-chiave presenti sul territorio in modo da valorizzare le risorse già presenti e di organizzare momenti di dibattito su quanto emerso nell’indagine iniziale. Successivamente, si è lavorato alla promozione e alla costituzione di un “gruppo locale” protagonista nell’individuazione e nella realizzazione di attività partecipate, in grado di animare il territorio e di stimolare i cittadini a percepire la nuova struttura come una risorsa per la vita del quartiere e della città.

In quest’ambito, sono state costruite diverse occasioni di incontro tra i cittadini, il Sindaco, gli amministratori locali, il Direttore della Società della Salute, i responsabili del soggetto pubblico titolare del progetto e gli operatori sociali, in cui si è condotto una sorta di “monitoraggio condiviso”. L’individuazione delle possibili risposte ai problemi messi a fuoco è stata garantita da una flessibilità operativa che a tutt’oggi consente di rimodulare costantemente alcune linee di intervento alla ricerca della maggiore soddisfazione possibile per tutti.

Il centro d’accoglienza dunque, pur continuando ad avere una destinazione privilegiata, quella di offrire servizi rivolti alle persone senza dimora, è diventato gradualmente luogo di incontro e di scambio sia per percorsi di socializzazione rivolti ad altri soggetti in condizione di vulnerabilità, sia per i residenti e gli abitanti del quartiere. È stato costituito il gruppo dei “volontari di quartiere” composto da alcune persone senza dimora e dagli abitanti della zona, che si sono resi disponibili a condividere con gli ospiti della struttura l’impegno per la cura degli spazi verdi del rione, il recupero di ambienti di possibile interesse per la comunità residente e la realizzazione di piccoli interventi di manutenzione urbana e dunque per scopi comuni orientati a migliorare la qualità della vita di tutti. Con lo stesso stile, e dunque in un contesto protetto, facilitato dalla presenza degli operatori e capace di favorire una relazione significativa, sono state realizzati momenti di festa per i bambini delle scuole del quartiere.

Potenziando, grazie a peculiari momenti formativi, l’esercizio di funzioni mediative da parte di tutti gli operatori si è tentato di far sì che ogni figura professionale inserita nel progetto fosse individuata dai residenti non tanto come un riferimento a cui delegare la ricerca di una soluzione alle dinamiche conflittuali, ma come l’interlocutore appropriato con cui interagire per individuare il modo migliore di procedere nella gestione dei momenti di criticità della convivenza.

Volendo infine rispondere alla percezione di paura e di insicurezza da parte dei cittadini, si è pensato di organizzare momenti di riflessione e di confronto su argomenti di interesse collettivo senza però selezionare le questioni da focalizzare unicamente intorno al tema del conflitto. Si sono così strutturati alcuni incontri denominati “conversazioni di quartiere”, con la funzione di offrire un contesto in cui approfondire criticamente i significati che spesso vengono attribuiti in modo riduttivo ad eventi e situazioni che hanno creato tensione e contrapposizione. In tali momenti è stata stimolata l’interazione tra chi nel quartiere, a partire da un contatto più diretto con le persone inserite in percorsi di aiuto, ha maturato il desiderio di una conoscenza più approfondita di specifiche questioni sociali. Durante tali discussioni è importante che i singoli episodi concreti restino piuttosto sullo sfondo in modo che, col supporto degli operatori sociali, si possano elaborare collettivamente strumenti di analisi idonei a comprendere la complessità delle problematiche e ad affrontare i temi legati all’emarginazione, all’accesso ai beni primari e ai diritti essenziali.

Un cambiamento culturale nelle politiche contro la marginalità sociale

L’orizzonte verso cui si vuole tendere attraverso le iniziative fin qui descritte è quello di un cambiamento culturale determinato dai risvolti positivi e creativi che l’approccio costruttivo ai conflitti può avere non solo in chi ne è diretta parte in causa ma anche per l’insieme del contesto sociale. È noto l’apporto dato a questo tipo di riflessione, che fonda l’approccio trasformativo della mediazione, dal libro The promise of Mediation di Robert Baruch Bush e Joseph Folger, apparso per la prima volta negli Stati Uniti nel 1994 e recentemente tradotto in italiano da Giovanni Scotto.

Di fronte ai cambiamenti demografici attuali, relativi alla composizione etnica ed alle forme stesse di socializzazione che si registrano nelle aree urbane, incrementare il livello di coesione sociale rappresenta una sfida che non può che darsi come obiettivo generale quello di creare un “sistema di comunità” all’interno del quale l’approccio mediativo ai conflitti rappresenti una sorta di patrimonio diffuso, esercitato come prassi abituale in ogni livello e tipo di relazione.

Poiché la documentazione e la custodia della memoria di eventi di partecipazione costruttivi è un patrimonio dell’intera comunità locale, si è pensato di dedicare una serie specifica di interventi a questo scopo. È stato prodotto un video con cui si è voluto narrare quanto vissuto nel quartiere nelle diverse occasioni di incontro, dalle assemblee di quartiere alle giornate di festa. Il tentativo di lasciare traccia e divulgare il percorso intrapreso è stato accompagnato in questi anni dallo sforzo di creare occasioni di dibattito rivolti alla città intera, in cui affrontare il tema della tutela dei diritti essenziali, del sistema di risposte ai bisogni primari e soprattutto dell’impatto sociale delle politiche di accoglienza nei territori e nei contesti urbani. Questi appuntamenti hanno offerto l’opportunità per presentare un quadro aggiornato relativo al fenomeno delle persone senza dimora nel territorio della città e per confrontare il “modello” di intervento in atto a Pisa con esperienze relative ad altri contesti territoriali.

Spostando l’attenzione sulle criticità e sugli elementi da potenziare ci sembra utile, in conclusione, rilevare quattro principali questioni. In primo luogo l’importanza di poter contare su una stabile e mirata politica di indirizzo sulle questioni relative al governo dei fenomeni di grave marginalità e alle implicazioni che gli interventi sociali in questo campo hanno sullo sviluppo di una città intesa come comunità solidale. Da qui il rilievo della necessaria armonizzazione tra il ruolo dell’interlocutore politico, l’indirizzo programmatico definito dai responsabili tecnici, la realizzazione operativa dei soggetti attuatori, spesso provenienti dal mondo del “terzo settore”. Il secondo luogo, va riconosciuta la necessità di una visione di lungo periodo con cui impostare la valutazione di “efficacia” degli interventi come quelli descritti nel presente contributo. Su questo terreno, è opportuno non perdere mai di vista la gradualità con cui si sviluppano i processi di apprendimento e di “interiorizzazione culturale” che possono condurre, non solo gli addetti ai lavori ma ogni cittadino, ad acquisire strumenti nuovi con cui elaborare la domanda di aiuto nella gestione del conflitto con l’altro.

In terzo luogo, se da un lato potrebbe già essere un risultato non trascurabile quello di elaborare e tenere aggiornata una “mappa del rischio e dei conflitti” che fornisca una fotografia dei territori che compongono le aree urbane delle nostre città, è forse altrettanto utile costruire delle “mappe di permeabilità” in grado di valutare, mediante specifici indicatori, la capacità di un determinato contesto di assorbire e di farsi carico di tutte implicazioni derivanti dall’attivazione di un centro di servizi rivolto a chi vive in condizioni di grave disagio. Le complesse dinamiche legate ai percorsi di inclusione possono trasformare le comunità locali in soggetto attivo, invece che relegarle al ruolo di puro recettore passivo, solo se vengono destinate adeguate risorse alla gestione di quei processi, come la mediazione sociale, che hanno come punto di forza trasversale la capacità di facilitare il passaggio dai problemi alle risorse, dai rischi alle opportunità, dalla visione superficiale delle questioni alla consapevolezza fondata su dati reali strutturali, dalle posizioni di principio e dagli interessi individuali al senso di responsabilità condivisa verso la propria comunità.

È infine auspicabile che tra le figure che possono rendersi protagoniste di un miglioramento delle relazioni all’interno delle comunità territoriali segnate dall’incremento delle tensioni sociali trovino spazio i giovani che compiono la scelta del servizio civile. Essi potrebbero essere una risorsa straordinaria per fronteggiare le possibili crisi dei nostri luoghi di convivenza, proprio in forza delle capacità potenziate durante il servizio di ascoltare, osservare e discernere ciò che li circonda, e della volontà di mettersi a servizio della collettività in forza di una visione della cittadinanza attiva, delle prassi nonviolente di gestione dei conflitti e della difesa della collettività che, sola, potrà essere garanzia della promozione della pace e di un futuro migliore per tutti.

Riferimenti bibliografici

Baraldi C., Comunicazione interculturale e diversità, Carocci, Roma, 2003.

Bauman Z., “Le città laboratorio di futuro. Il ruolo delle città nel tempo della globalizzazione” (intervista a cura di R. Camarlinghi), Animazione Sociale, n. 12, 2004.

Bertoluzzo M., “Uno ‘spazio’ per il conflitto: l’esperienza del Gruppo Abele a Torino”, in Luison L., Liaci S., (a cura di), Mediazione sociale e sociologia. Riferimenti teorici ed esperienze, Franco Angeli, Milano, 2006.

Bush R. B., Folger J., La promessa della mediazione, Vallecchi, Firenze, 2009.

Consalves P., Turner-Hudson D., “I ‘dialoghi difficili’: articolazione e applicazione dell’approccio trasformativo nel Greenwich Madiation”, in Luison L. (a cura di), La mediazione come strumento di intervento sociale. Problemi e prospettive internazionali, Franco Angeli, Milano, 2006.

De Briant V., Palau Y., “La médiation, définition, pratiques et perspectives”, Sciences Sociales, n. 28, 1999.

Glissant E., Poetica del diverso, Meltemi, Roma, 1998.

Luison L., “La sociologia tra teorie del conflitto e pratiche di risoluzione alternative alle dispute”, in Luison L., Liaci S. (a cura di), Mediazione sociale e sociologia. Riferimenti teorici ed esperienze, Franco Angeli, Milano, 2000.

* Alessandro Carta è responsabile dell’area mediazione del Progetto Homeless , Responsabile d’area e  Vice Presidente della Cooperativa Sociale Il Simbolo . E’ inoltre membro del direttivo di FIO.psd

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